La Corte di Cassazione (con Sentenza n. 9917 del 26 aprile 2010) ha stabilito che la domiciliazione della documentazione contabile presso il commercialista non vale a dimostrare l’esistenza di un rapporto di opera professionale.
La Sentenza è stata emessa con rigetto dell’appello di un contribuente che richiedeva il risarcimento di danni da responsabilità professionale proposta contro il suo commercialista, professionista del quale si era avvalso in occasione della sua attività di gestore di un bar.
Il Tribunale di Roma aveva già rifiutato la richiesta di risarcimento del gestore dopo che questi era incorso in una gravosa sanzione economica da parte della Guardia di Finanzia, che lo aveva multato per alcune irregolarità nella tenuta formale dei libri contabili.
Ciò avveniva perchè il professionista commercialista non aveva utilizzato la documentazione contabile che gli era stata trasmessa dal contribuente-gestore per la compilazione della dichiarazione dei redditi e della determinazione dell’imponibile ai fini Irpef e IVA, così come non aveva proporso ricorso alla Commissione Tributaria per l’accertamento, nonostante si fosse fatto rilasciare l’apposita procura dal contribuente.
Il contribuente-gestore aveva quindi ritenuto il commercialista inadempiente dal punto di vista professionale così come causa del danno economico, e si era rivolto al Tribunale per il risarcimento, rigettato però sia in Primo che in Secondo Grado.
L’opposizione della Corte era avvenuta proprio perchè andava a escludere l’esistenza di un rapporto professionale tra il contribuente ed il commercialista, nonostante la presentazione di documenti indicanti il luogo di conservazione della contabilità, e un testimone (poi ritenuto non decisivo in quanto figlio del contribuente). In aggiunta, nel verbale contestato della Guardia di Finanza, risultava quale luogo di conservazione della contabilità del bar lo studio di consulenza del commercialista sito in Roma.
In Appello, il contribuente si è visto ulteriormente respingere il ricorso poichè i giudici, una volta esaminate le risultanze probatorie, avevano definito come generico l’incarico del professionista e quindi non responsabile delle inadempienze.
La Corte di Appello, infatti, rilevava che, anche a voler ritenere che un incarico professionale fosse stato conferito, per poter accogliere la richiesta di risarcimento dell’attore questi avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di eventuali errori da parte della Finanza e le probabilità di successo del ricorso.
La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. (Fonte, ndr).
Paola Perfetti